Nella
società in cui viviamo l’abito è quello che più ci rappresenta.
Quasi poco importa quello che diciamo, importa il vestito con cui lo
comunichiamo. Sono svariati i marchi e le griffe che si susseguono,
tutti con lo stesso denominatore comune: “l’annientamento
dell’unicità”, renderci tutti uguali attraverso l’occhio
consumistico facendoci credere che ciò che conta sia la mise scelta
e non la parola pensata e pronunciata.
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disegno realizzato da Rosita Di Ceglie |
presso l’Università degli studi di Bari, da sempre innamorata dello stile. Utilizzo volutamente la parola stile in quanto il termine moda risulta più consono ad un linguaggio di omologazione, fortemente industriale. Ciò che conta per me non è il capo finito ma soprattutto il processo che vi è dietro la realizzazione di un capo artigianale; l’amore, la passione, le difficoltà e gli imprevisti che conferiscono al capo l’unicità e alla persona l’identità.
Più
che mai oggi affidiamo il nostro tempo, il nostro denaro e non da
meno, la nostra personalità a motori aziendali, canoni societari
interessati esclusivamente ai profitti e alle apparenze. Credo che
dovremmo porre invece maggiormente l’attenzione su di noi, sulla
nostra autenticità e, per farlo, bisognerebbe iniziare ad
avvicinarsi a l’unica cosa che può aiutare a distinguerci in
materia di costume: l’artigianalità del sarto, la riscoperta della
bottega.
Bisognerebbe
iniziare a salvaguardare e a promuovere ciò che di più prezioso
abbiamo nella nostra terra: il sapere, la conoscenza che abbinata ad
una tradizionale modernità può portare ad una maggiore
consapevolezza di sé e delle proprietà ed eccellenze radicate da
decenni nel nostro territorio.
Non
dimentichiamo che come l’abito non fa il monaco il marchio non fa
la “persona”.
Rosita
Di Ceglie
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