lunedì 6 marzo 2017

Coprirsi è riscoprirsi, tutti i giorni.

Nella società in cui viviamo l’abito è quello che più ci rappresenta. Quasi poco importa quello che diciamo, importa il vestito con cui lo comunichiamo. Sono svariati i marchi e le griffe che si susseguono, tutti con lo stesso denominatore comune: “l’annientamento dell’unicità”, renderci tutti uguali attraverso l’occhio consumistico facendoci credere che ciò che conta sia la mise scelta e non la parola pensata e pronunciata.



di Rosita Di Ceglie
disegno realizzato da Rosita Di Ceglie
Sono Rosita Di Ceglie una giovane donna laureata in moda 
presso l’Università degli studi di Bari, da sempre innamorata dello stile. Utilizzo volutamente la parola stile in quanto il termine moda risulta più consono ad un linguaggio di omologazione, fortemente industriale. Ciò che conta per me non è il capo finito ma soprattutto il processo che vi è dietro la realizzazione di un capo artigianale; l’amore, la passione, le difficoltà e gli imprevisti che conferiscono al capo l’unicità e alla persona l’identità.

Più che mai oggi affidiamo il nostro tempo, il nostro denaro e non da meno, la nostra personalità a motori aziendali, canoni societari interessati esclusivamente ai profitti e alle apparenze. Credo che dovremmo porre invece maggiormente l’attenzione su di noi, sulla nostra autenticità e, per farlo, bisognerebbe iniziare ad avvicinarsi a l’unica cosa che può aiutare a distinguerci in materia di costume: l’artigianalità del sarto, la riscoperta della bottega.
Bisognerebbe iniziare a salvaguardare e a promuovere ciò che di più prezioso abbiamo nella nostra terra: il sapere, la conoscenza che abbinata ad una tradizionale modernità può portare ad una maggiore consapevolezza di sé e delle proprietà ed eccellenze radicate da decenni nel nostro territorio.
Non dimentichiamo che come l’abito non fa il monaco il marchio non fa la “persona”.

Rosita Di Ceglie

Nessun commento:

Posta un commento