venerdì 18 maggio 2018

You yogurt


Più volte a settimana, mio padre, con la stessa devozione di un antico farmacista, si occupava dell' auto produzione di yogurt.
Un'esigua quantità della realizzazione precedente, mescolata a una nutrita dose di latte dolcemente caldo, serviva a generarne all'infinito. Un'amorevole gestazione che sviluppava miliardi di fermenti nel confortevole ventre di una brocca panciuta morbidamente avviluppata in frusti pullover in disuso. A farne da sorvegliante una solerte, premurosa piccola pentola colma d'acqua a temperatura prudente che, avvicendata, ogni tempo indefinito, profondeva costantemente tepore per esortare alla vita ogni singolo fermento. Dotata di grande curiosità, accodavo con lo sguardo le movenze, stilandole, frattanto, nel mio personale taccuino mentale appagandone l'incommensurabile appetito di conoscenza.
Lo gustavamo caldo, appena munto dalla lentezza.
Con miele o zucchero per i meno avvezzi al sapore tipicamente acidulo. A me piaceva, e continuo a gradirlo al naturale, a dimostrazione del fatto che educare i palati ai sapori veraci, sin dai primi anni d'età, torna importante per meglio “sentirli” e trarne beneficio.
Probabilmente, oltre alla mia connaturata inclinazione verso quei sapori che, al contrario per alcuni bambini e adulti dal palato non educato, potrebbero non essere graditi, esiste la componente sentimentale dei ricordi che popolano il cuore, votata ad addolcire anche i sapori acidi.
E fu la volta della yogurtiera, il fermento proseguì sia all'interno che all'esterno del grande contenitore formato famiglia. Per fortuna il progresso tecnologico ha sì contribuito a semplificarne la preparazione, ma senza rubare la scena all'antica arte del “sentire”.
Un rito, oggi, quello dell'auto produzione dello yogurt, che dispone il mio animo alla rievocazione spirituale di una saggia infanzia.
Che il Sole vi baci! Gaia Marchese

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